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La primordiale storia della terra d’ombra

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Buongiorno e bentornati nel mio blog del lunedì.

Oggi riprendiamo le fila della rubrica sulla Storia dei colori e parliamo di un pigmento che non può mancare nella cassetta degli attrezzi di chiunque si dedichi all’arte: la Terra d’Ombra.

La Terra d’Ombra naturale

In inglese conosciuta come Umber, molti credono che il suo nome sia legato alla sua origine geografica, un po’ come per la Terra di Siena, e che derivi dall’Umbria, uno dei suoi storici luoghi di produzione. In realtà è più verosimile che l’etimologia di questo pigmento derivi dal latino umbra

Si tratta di un ossido di ferro, come l’ematite, molto stabile e affidabile, che dà vita a un marrone freddo e scuro, perfetto per le velature opache.

Come dichiarava George Field:

Un’ocra naturale, carica di ossido di manganese […] di un colore marroncino acido, semi opaco, con tutte le caratteristiche di una buona ocra; dura tantissimo sia negli acquerelli che negli oli.

La cosa che mi emoziona di più riguardo alla terra d’ombra è il fatto che è stato uno dei primi colori utilizzati dall’uomo perché fa parte delle ocre ritrovate nelle pitture rupestri delle grotte di Altamira e di Lescaux. Fin dalla notte dei tempi la nostra specie si è distinta dalle altre per la sua capacità di astrazione, per il suo desiderio di rappresentare le proprie emozioni e di riprodurre momenti della vita quotidiana e le pitture rupestri ne sono il documento inequivocabile.

Ma la terra d’ombra fu utilizzata anche da Egizi, Greci e antichi Romani e fu portata alla ribalta da Giorgio Vasari che nel suo libro Le Vite, la cita tra i colori di terra utilizzati da Agnolo Gaddi:

Si sono similmente ritrovate poi, la terra d’ombra, che è di cava, il giallo santo, gli smalti et in olio e alcuni verdi e gialli in vetro de’ quali mancarono i pittori di quella età.

Ma la terra d’ombra ottenne il suo massimo splendore durante il tardo rinascimento e il barocco con le opere del Caravaggio. Sebbene il “chiaroscuro” fosse praticato ben prima del Diciassettesimo secolo, Caravaggio rese la tecnica definitiva, oscurando le ombre e incantando il soggetto in un accecante raggio di luce. Ottenne questo effetto con una tavolozza limitata tipica dei pittori di quell’epoca: terre di ossido di ferro (ocra rossa, ocra gialla, terra d’ombra), pochi pigmenti minerali (vermiglio, giallo piombo-stagno, bianco di piombo), nero di carbone o nero d’ossa e verderame. Le terre predominavano e i colori più brillanti erano sempre velati.

Artemisia Gentileschi, Autoritratto

Dopo di lui, pittori come Joseph Wright di Derby, Artemisia Gentileschi e Rembrandt utilizzarono ampiamente la terra d’ombra. Come scrive Kassia St Clair nel suo Atlante sentimentale dei colori:

Questi pittori, detti a volte caravaggeschi per via della loro ammirazione per nei confronti del loro predecessore, si beavano dei contrasti drammatici tra chiazze di luce e ombre più profonde, esasperando gli effetti chiaroscurali. 

Lo stesso Rembrandt, finito in bancarotta nel 1656, negli ultimi anni della sua carriera dipinse con una ristretta gamma di pigmenti, utilizzando soprattutto le ocre, che erano più economiche, e in particolare modo la Terra d’ombra.

A me piace usare la terra d’ombra sia nella sua versione naturale sia in quella “row” o bruciata che ha un sottotono più caldo e mi emoziona avere tra le mani un pigmento naturale così pieno di storia… Mescolandolo ai colori primari si ottiene una palette calda che ricorda molto certi paesaggi dell’Italia centrale.

E voi? Conoscevate la storia della Terra d’Ombra? L’avete mai usata nei vostri attacchi d’arte? Se volete imparare con me a mettere le mani in moto e liberare la creatività, vi aspetto sul mio canale YouTube!

Noi ci vediamo qui, come sempre, lunedì prossimo!

 

 

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