La Lettera22 e il logo LaTuaMomis

 

Con amore - la Lettera22 e il logo LaTuaMomis

Avevo forse otto anni. Mio padre si spostava spesso per lavoro e prendeva il treno. Quando non dormiva a casa c’era sempre un certo senso di inquietudine. Io, mia mamma e mia sorella piccola restavamo sole. Insomma, non ci sarebbe successo niente, ovvio. C’era mia mamma e quindi eravamo inattaccabili, però. Decisi di scrivere una poesia. La mia prima. Si intitolava Il treno. Il testo era anche abbastanza lungo ma non credo sia stato conservato. Si trattava di un’invettiva contro quello sbuffante mezzo di trasporto che mi portava via mio padre. Iniziava forse così: “Io odio i treni”. Niente di più che l’espressione dei sentimenti di una bambina. Il fatto è che non la scrissi con la penna. Usai la Lettera 22.

Lettera 22 - la Lettera22 e il logo LaTuaMomisQuella macchina da scrivere l’avevano usata i miei genitori per le loro Tesi. Mio padre si era laureato in Matematica e mia mamma in Storia. Insomma faceva parte del patrimonio di famiglia in un periodo in cui i computer ancora non avevano fatto il loro ingresso nelle case degli italiani. Anni dopo la usai ancora per scrivere il mio primo racconto che venne pubblicato sul giornale della scuola media. L’allora caporedattore ne modificò il finale senza dirmi niente. Il racconto era troppo visionario, eccessivamente surreale. Così lui inserì una riga nella quale si intuiva che si trattava di una storia inventata da una nonna per intrattenere la nipote. Faceva più o meno così: “Ma nonna, cosa dici?”. Comunque.

La Lettera 22 fu poi messa da parte con l’avvento a casa nostra dei primi pc. Delle macchine enormi che funzionavano in Dos. E io scrivevo i miei racconti a penna su dei quaderni e poi li ricopiavo lì. Una volta al liceo avevo scritto tutto un romanzo intero direttamente sul pc e per qualche motivo il file si perse. Disperazione pura. Di quella trama conservo solo qualche appunto preparatorio e niente, niente più. Così ho imparato a fare il backup. Ma questa è un’altra storia.

La Lettera 22 è rimasta in esposizione negli anni in tutte le case che ho cambiato (e ne ho cambiate di case in 40 anni) come oggetto simbolico. I miei genitori ci avevano scritto le loro Tesi di Laurea, io ci avevo scritto la mia prima poesia e il mio primo racconto. La mia vita ha preso le sue pieghe, inaspettate, azzardate, ha scalato le montagne dei miei sogni, li ha realizzati (in tutto o in parte) sostenuta da me, dalla mia famiglia, dalle persone che mi sono state vicino, da quelle che mi hanno voltato le spalle, da quelle che non ci sono più, da quelle che ci sono e sempre ci saranno.

E adesso che la storia d’amore tra me e il lavoro della mia vita è in qualche modo terminata, adesso che sto rialzando la testa per rimettermi in gioco e fare delle mie passioni un lavoro nuovo, non mi è sembrato strano ritornare da lei. La mia Lettera 22. Ho ripulito i suoi tasti incrostati di inchiostro uno per uno. Ci ho messo dentro la carta ed ecco finalmente il logo della mia nuova attività. L’unico possibile. Tornare indietro per andare avanti con la mia Lettera 22 e il logo de LaTuaMomis messi assieme.

Se un giorno dovessi avere dei dipendenti, se la mia attività dovesse in qualche maniera industrializzarsi, il modello a cui guarderei è quello di Olivetti. Con le sue “isole” al posto della catena di montaggio. Con le vetrate che guardano alle montagne al posto dei muri di cemento. Con gli asili nido e la biblioteca aziendali. Con l’idea di mettere al centro le persone con le loro competenze e passioni. Con la sua Lettera 22 progettata da un designer italiano negli anni Cinquanta, esposta al Moma, usata da Pasolini e dalla Plath, e che ancora sta qui sulla mia scrivania. La Lettera 22 e il suo fascino che attraversa gli anni intatto.

Mi pare che in un giallo della Christie, La serie infernale, Poirot riuscisse a identificare l’assassino grazie anche alle peculiarità della sua macchina da scrivere… questo perché ogni macchina da scrivere è particolare, ha dei segni che la contraddistinguono. La mia fa la “a” tutta chiusa come se fosse un segno circolare. È unica, personale. È per questo che se devo firmare qualcosa che sia davvero mio non può essere che attraverso il suo segno grafico. Più che attraverso la mia calligrafia. Perché nei suoi tasti c’è la storia della mia famiglia, la storia della parte buona del mio Paese, di un modello di organizzazione del lavoro assolutamente innovativo e visionario, e il racconto della mia avventura personale, della mia crescita, delle mie passioni. Storia e tradizione, partenza e ritorno. Con amore.